“C’è qualcuno in casa? Sono l’assicuratore”
disse Stefani, bussando alla porta in modo energico.
Apra
pure. La stavo aspettando” rispose una voce femminile rauca.
“Con permesso”. “Si accomodi al tavolo. Arrivo subito”.
L’uomo entrò in punta di piedi e dopo
essersi tolto il cappotto si sedette a capotavola.
Ne tastò subito la robustezza. Legno
massello. Pregiato e antico. Se n’intendeva.
In molti anni di lavoro a domicilio dei
clienti, aveva imparato a individuare le principali caratteristiche di una
famiglia in base ai tavoli.
Un gioco sottile e divertente. Anche se
talvolta ingannevole.
Dopo una breve attesa, dalla penombra di un
lungo e stretto corridoio, spuntò una figura curva ed esile, sulla settantina.
“Ma lei non è il solito assicuratore. Piacere, io sono Margherita”
affermò sorpresa la donna, schiarendosi la voce.
“Molto lieto, mi chiamo Stefani” rispose
l’uomo, stringendole la mano delicatamente.
“Sono qui per farle firmare il rinnovo della
polizza relativa all’assicurazione sui diritti di successione della casa.
Sostituisco il mio collega Giacomazzi. Si ricorda?”
“Ricordo molto bene” fece lei, mentre con le
mani si aggiustava la coda di capelli sottili e bianchi, simile a una ghirlanda
di fiori, che terminava sulla sommità della testa.
“Prima però vorrei offrirle il mio the
speciale” sussurrò la donna portandosi una mano alla bocca un poco sdentata.
L’assicuratore avrebbe voluto rifiutare, ma
la profondità di quegli occhi azzurri e quello sguardo benevolo gli fecero
cambiare idea.
“Grazie signora. Lo bevo volentieri”.
“Torno subito”.
La donna sgattaiolò nuovamente nella piccola
cucina. Fra l’odore di fritto e di sapone.
Il dialogo continuò, accompagnato dal rumore
delle stoviglie. Tintinnii familiari che gli ricordavano l’infanzia a casa
della nonna.
“Un the caldo è proprio quello che mi ci
vuole. La giornata è umida”.
“Non si preoccupi. Ancora un paio di giorni
e l’aria sarà fresca e dolce. La primavera è alle porte”.
L’uomo non diede risposta.
Si guardò intorno, notando come la casa fosse
arredata e adornata con elementi in legno di vario genere. Non c’erano soltanto
mobili. Soprammobili, souvenir, cornici, posacenere e altre cianfrusaglie erano sparse un po’
ovunque. Alcune bizzarre. Altre di pregevole fattura.
Stefani amava il legno. Aveva trascorso
buona parte della sua prima infanzia nella falegnameria del nonno paterno,
carpendone trucchi e segreti.
Ciò che lo affascinava maggiormente era il
vecchio armadio in noce.
Anche se scricchiolava in continuazione.
“Signora Margherita, ha dei mobili antichi
davvero unici”.
“Molto antichi e davvero unici” ripeté la
donna, urlando.
“L’armadio è stupendo. Il legno sembra
cantare…” scherzò l’uomo.
“Non si preoccupi. Scricchiola spesso. C’è
dentro mio marito. Sta brontolando. Accade molte volte” replicò con tono
perentorio Margherita.
“Suo marito nell’armadio? Non vive sola?
Pensavo fosse vedova” la interrogò, trattenendo un sorriso.
La donna rimase in silenzio.
Tornò in sala portando un vassoio in legno
contenente due tazze di the caldo profumatissimo. Bergamotto e menta.
“Beva pure. Posso offrirle anche dei
biscotti all’anice?”
“No grazie. Il the va benissimo” rispose
l’uomo in attesa di una spiegazione convincente.
E verosimile.
“Non si preoccupi. Sono quindici anni che
mio marito è li dentro”.
“Com’è possibile? Si spieghi meglio”.
“C’è poco da spiegare”.
“Esce per mangiare?” continuò l’uomo basito.
“Lui non ne ha bisogno. Si nutre solo di
tanto amore”.
“Continuo a non capire”.
“Vede signor Giacomazzi, il suo corpo è al
cimitero, ma la sua anima è rimasta chiusa nel legno”.
“Sono Stefani, Giacomazzi è il mio collega”
L’uomo si slacciò il primo bottone della
camicia e dopo avere guardato l’orologio esclamò: “Signora fra dieci minuti
avrò un altro appuntamento. Firmi le carte per cortesia”.
“Beva il the signor Giacomazzi, altrimenti
si raffredda”.
L’uomo non replicò. Le spiegò i termini del
contratto e le indicò lo spazio destinato alla firma.
Margherita lesse le prime righe con
attenzione. Fissò l’assicuratore negli occhi, confusa, senza proferire parola.
Poi si alzò lentamente, lasciando il plico sul tavolo e si diresse verso
l’armadio.
L’accarezzò. Con devozione. Avvicinò la
guancia destra. In religioso silenzio.
Infine dichiarò con voce rauca: “Aspetti un
attimo. Prima di firmare devo chiedere consiglio a mio marito. E’ lui che si
occupa di questi problemi. Venga signor Stefano Giacomazzi. Provi ad ascoltare
anche Lei”.
Stefani s’alzò di scatto, pronto ad assecondare la follia della donna.
“Purchè questa pazza firmi e me ne possa
andare al più presto, sono disposto a tutto” pensò spazientito.
Il suo passo però s’arrestò di colpo,
nell’istante in cui un botto tremendo proveniente dall’armadio gli trapanò i
timpani. E il cuore.
Sul viso di Margherita si dipinse un sorriso
satanico seguito dallo scricchiolio incalzante degli altri mobili. Ritmico e
subdolo.
Stefani restò immobile. Impietrito. Con
l’anima a soqquadro. Inerme.